Martedì, 23 Maggio 2017
Relatori conviviali

“MISIA, LA SEDUZIONE DELL’ARTE” – Gianni GORI (*)

Il relatore ringrazia tutti i convenuti per la numerosa partecipazione e precisa che, quando si parla di arte, spesso ci si addentra in una sorta di ginepraio. Fedra in esordio ha fatto un cenno a quanto accaduto a Manchester, sede di un attentato al termine di un concerto di musica pop, che richiama alla memoria le altre, purtroppo ormai molte, tragedie che si sono succedute in questo periodo. Rievocarle fa pensare che la nostra civiltà funzioni al contrario, nel senso che involve da un notevole grado di progresso verso una forma di bestialità. In questa congiuntura storica che ci sgomenta sembra strano parlare di cose che a confronto sono apparentemente futili. Ma non è così perché il personaggio di cui parliamo questa sera è un personaggio storico davvero notevole. Più che della seduzione dell’arte dovremmo parlare dell’arte della seduzione. Conoscendo la sua storia, non possiamo che domandarci per quali ragioni Misia, questa donna straordinaria, ha esercitato negli anni in cui è vissuta un fascino così articolato e particolare che, per certi versi, ancora dispiega ai giorni nostri.

Misia è il nome d’arte e viene nell’evoluzione della vita di questo personaggio accostato ad altri nomi: Misia Sophia Godevska e poi Natanson, Edwards, Sert, nomi assunti a seguito di tre matrimoni culminati con tre divorzi. Nata nel 1872, la sua vita attraverserà due guerre mondiali. Il relatore propone diverse immagini di Misia, una in particolare la ritrae con sembianze molto simili a quelle dell’Angelo Azzurro interpretato da Marlene Dietrich. Già da questa immagine ci dobbiamo chiedere: ma era davvero bella questa donna? Non era probabilmente una bellezza a tutto tondo: aveva naso irregolare, ed era anche un po’ paffutella rispetto ai canoni estetici attuali. La sua era una bellezza come quella di certe voci, uniche e indefinibili. Questa bellezza era anche genio, per ragioni segrete che restano ancora misteriose per tutti noi. Era musicista? Modella? Musa ispiratrice? Misia era in realtà un po’ tutto. Nasce in una famiglia benestante di artisti e questo fa sì che possa attingere all’arte entrando subito, sin dall’infanzia, in un mondo di straordinaria bellezza, anche attraverso la sua ambizione musicale di pianista. Non abbiamo mai sentito Misia pianista perché non abbiamo documenti sonori. Sappiamo che aveva studiato con Fauré, e nella sua vita e nel suo entourage girava tutto il mondo culturale europeo tra la fine dell’800 e il periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Più facile dire chi c’era, nel salotto di Misia, che dire chi non c’era. Per citare solo qualche esempio, assidua frequentatrice fu Cocò Chanel, che intrattenne con Misia una relazione di carattere ambiguo e poi scrittori, quali Proust, che la stigmatizzò nella sua Recherche, e ancora Rolland Garros, spericolato aviatore francese, grande amico di Misia che aveva portato con sé in aereo. Come si diceva, non sappiamo come suonasse il pianoforte ma possiamo supporre che fosse un’ottima musicista perché, quando negli anni ‘30 si esibì in un concerto a quattro mani, ricevette una critica entusiastica di Jaque Cocteau. Fu sempre definita donna ardente e, lungi dal vivere all’ombra di grandi artisti, fu per loro fonte di vera ispirazione.

 Il primo marito, Natanson, è fondatore della nota rivista parigina “Revue Blanche”. Misia abitava un’enorme terra di mezzo che stava tra la Parigi popolare e l’aristocrazia, la terra di mezzo della cultura parigina ed europea. Nell’ambito della Revue Blanche Misia incontra Toulouse Lautrec, autore di tante immagini di Misia. Il matrimonio con Natanson dura un certo periodo e si conclude con un divorzio. 

Il secondo cognome è quello di Alfred Edwards (una specie di Berlusconi dell’epoca), da non confondersi con l’Edwards primo presidente del Milan. Come regalo nuziale Misia riceve dal marito uno yacht di 35 metri.

Ultimo uomo della sua vita: José Maria Sert, con il quale visse un menage a trois. La prassi dell’avere amanti, anche in comune, era molto diffusa all’epoca. La relazione con Sert è durata fino a quando la svolta ha coinvolto non solo Misia, ma la storia stessa.

Di sé, Misia avrebbe detto di essere predestinata a una sorta di morte a Venezia, invece ha avuto una vita lunga e una vecchiaia tristissima, minata dall’uso della droga.

Misia ha lasciato traccia nelle sue memorie delle sue date salienti, delle sue emozioni vissute in presa diretta, quelle che per lei sono state le date storiche nel decennio che parte dal 1910. Nel 1910 assiste alla prima all’Opera Comique di “Pelléance e Méllisande” di Debussy. Ancora ricorda di aver assistito al “Boris Godunov” di Mousorskij all’Opera. Nel 1913, all’avvicinarsi della prima guerra mondiale, assiste alla prima della “Sagra della primavera” di Igor Stravinsky. In sala presenti tutti gli intellettuali parigini, anche Saint-Saëns. Durante l’esecuzione, Misia guardava la faccia livida di Debussy che continua a ripetere sbigottito: “non capisco”. Misia descrive situazioni come se facesse dei reportage in diretta di questo mondo culturale in evoluzione e diventa la confidente di tutti questi personaggi, pittori, musicisti, scrittori. Ci racconta di Stravinsky, di cui era grande confidente e che, per inciso, aveva un carattere terrificante. Misia ne fa un quadro piuttosto negativo, confermato anche da racconti di altri personaggi che lo definiscono come una persona avara e anche un po’ scroccona. Emblematico di questa sua caratteristica è un episodio ambientato a Roma: dopo aver assistito alla Prima di uno spettacolo, accompagnato da una certa Signora Panni, questa, alludendo al rinfresco preparato, pronunciò la frase “magna, magna, Stravì, che è tutto pagato!”.

Il relatore conclude osservando che Misia costituisce un’icona di quella evoluzione a rovescio cui alludeva in esordio di relazione: è simbolo di grande civiltà culturale, genio e bellezza che, attraversando le tragedie dell’Europa, piano piano si polverizza e sgretola e finisce nell’immagine di decadenza che, però, paradossalmente suscita ancora oggi stupore e ammirazione.

 

(*) Gianni GORI, Scrittore e critico musicale (per oltre 25 anni critico del quotidiano Il Piccolo) è autore di innumerevoli lavori per il teatro, la radio, la televisione e direttore artistico di festival e di varie iniziative culturali di spettacolo. Collabora alla rivista Musica. Per l’editrice “La finestra” di Trento dirige la collana delle opere di Silvio Benco. Ha insegnato Storia della musica all’Università di Trieste e successivamente (dopo un lungo periodo come direttore di produzione del Teatro Verdi di Trieste) “organizzazione dello spettacolo” all’Università di Udine. È autore di numerosi libri fra cui Il vero Requiem di Mozart, I fantasmi dell’Opera, Il Teatro Verdi di Trieste.