Martedì, 11 Aprile 2017
Relatori conviviali

“TRIESTE E LA POETICA DELL’ABITARE NEI PRIMI NOVECENTO” – Federica ROVELLO (*)

“Ogni suppellettile aveva una sua collocazione ben precisa. L’architetto aveva provveduto per il meglio. Aveva pensato a tutto. Anche per la più minuta scatoletta vi era un luogo previsto appositamente.

L’appartamento era veramente comodo, ma richiedeva una grande fatica mentale. Per questo l’architetto, durante le prime settimane, sorvegliava l’appartamento affinché nessun errore venisse commesso.” (Adolf Loos, A proposito di un povero ricco, 1900)

 

Una nuova stagione alle soglie del ‘900 si sta progressivamente affermando, ponendo in evidenza gli aspetti contradditori, irrisolti, di una storia dell’edilizia di inizio secolo, che costituisce un brano del peculiare lessico architettonico cittadino nella fase di passaggio dalla tradizione dello storicismo eclettico alle sperimentazioni di uno stile di matrice europea.

Ai progettisti che si cimentano viene richiesto pertanto di esercitare un modus operandi omnicomprensivo, che contempli l'inserimento di un nuovo inserto nel tessuto residenziale da molteplici punti di vista.

Essi dimostrano di essere in grado di esercitare un controllo attento e meticoloso del progetto e della sua realizzazione alle diverse scale: urbana, edilizia, fino a definirne con perizia i minimi dettagli decorativi.

Saranno proprio loro i pionieri che introdurranno inedite soluzioni di carattere tecnico e materico, sostenuti da una committenza colta e aperta al rinnovamento, ma non sempre accolti con benevolenza dalla Commissione tecnica comunale.

Di queste esperienze risulta particolarmente interessante riservare un’attenzione specifica agli interventi a destinazione residenziale, meno noti e indagati, ma che risultano fondamentali per la comprensione dei processi di produzione edilizia cittadina del periodo che va indicativamente dal 1900 al 1914.

Attraverso la breve disamina di alcuni esempi, si è inteso, perciò, raccontare di una città che accoglie esperienze differenti a comporre un mosaico di cui forse risulta più importante apprezzarne la ricchezza piuttosto che tentare un’impossibile e rigida classificazione nei canoni di uno stile architettonico o dell’altro.

Infatti è attraverso la realizzazione di architetture diverse, sovrapposte, affiancate, che si definisce la facies urbana di Trieste agli inizi del XX secolo, composta da una serie di episodi paradigmatici che raccontano di una città combattuta tra aspirazioni di modernità e ricerca di sicurezza nei consolidati criteri architettonici del XIX secolo.

In questo clima di incertezza e di fermento culturale, assume un ruolo fondamentale la congerie di professionisti presenti e operanti in città alla ricerca di una difficile identità, combattuti tra sapiente ricerca di forme innovative e consolidata tradizione costruttiva.

Essi avviano e partecipano attivamente ad un processo di modernizzazione di forme e procedimenti progettuali che mal si coniuga con l’arretratezza della normativa vigente. Le leggi e i regolamenti edilizi non corrispondono più alle moderne esigenze di progettisti che vogliono sperimentare inediti tipi edilizi e promuovere un nuovo lessico architettonico.

E sono spesso le loro realizzazioni che vivono accesi dibattiti ed estenuanti discussioni, delle quali rimane testimonianza nei carteggi e nella corrispondenza tra progettisti e Magistrato Civico.

In particolare, le pratiche edilizie, ritrovabili presso gli archivi comunali, consentono di evidenziare, attraverso gli elaborati grafici e la documentazione relativa (contabilità dei lavori, corrispondenza, successive modifiche ai progetti presentati), il complesso iter progettuale e realizzativo che registra spesso complesse considerazioni e controversie in merito alle scelte formali e dimensionali sia da parte del progettista, sia da parte della Commissione preposta ad accordare il permesso di fabbrica.

Nel corso della conferenza sono state ripercorse, in particolare, le vicende di Casa de Stabile (Riva Grumula 1905–6) e di Casa Bartoli (Piazza della Borsa 1905–6) di Max Fabiani; delle case Mosco di Giovanni Maria Mosco (via della Cereria e Tigor 1906-9); di Casa Valdoni di Giorgio Zaninovich (via Commerciale 1907–8) e, infine, la Casa di Umberto Fonda (via Carpison – via S. Francesco 1911–14).

Di queste mirabili architetture è stata presentata una serie di immagini, sia fotografie, d’epoca e attuali, sia elaborati grafici di progetto per illustrare i dettagli più significativi: il bow-window dal quale Ernesto de Stabile poteva ammirare la propria imbarcazione ormeggiata nel vicino porticciolo; i pluviali utilizzati come elementi dell’apparato decorativo e non solo semplici elementi di smaltimento delle acque piovane sempre di casa de Stabile; le foglie di Max Fabiani per casa Bartoli sovrapposte, suo malgrado, ai grandi rombi geometrici; le ricche ghirlande e i severi mascheroni di Giovanni Maria Mosco; le eleganti texture decorative di Giorgio Zaninovich; i rivestimenti in piastrelline colorate di Umberto Fonda.

Nonostante le forti resistenze delle istituzioni preposte alla vigilanza dell’attività edilizia, è possibile individuare, nei casi descritti, le caratteristiche di un rinnovamento, formale e tecnico, che non si è limitato all’apposizione di decorazioni fitomorfe, zoomorfe o antropomorfe, iterate e omologate quali nastri, fasce decorative, ghirlande, mascheroni, musi leonini.

Gli esempi selezionati, seppur non esaustivi, ci consentono di apprezzare la composizione di un eterogeneo glossario architettonico del periodo, che si compone di molteplici soluzioni funzionali di tipi edilizi e di apparati decorativi di facciata, nel tentativo di soddisfare l’esigenza di rappresentatività di una committenza colta e aperta alle novità.

La sistematica affermazione di tecniche e di materiali innovativi consente nuove opportunità e originali combinazioni formali. Le nuove tecniche di produzione rendono, infatti, possibile la rapida diffusione di elementi d’ornato prefabbricati, ottenuti grazie ad innovative lavorazioni in stampi, prodotti anche serialmente, da artigiani e maestranze specializzate come decoratori ed ornatisti. L’utilizzo del cemento come nuovo legante permette la realizzazione di elementi decorativi più facilmente plasmabili e ripetibili, alla stregua di qualsiasi altro componente edilizio e l’esecuzione dei manufatti non avviene più in cantiere ma all’interno di officine in tempi più brevi e con tecnologie più economiche rispetto alle tradizionali lavorazioni, determinandone un uso più frequente e ripetitivo.

Un repertorio di soluzioni formali che architetti e committenti utilizzano diffusamente nel tentativo ambizioso di governare il progetto alle diverse scale: da quella urbana fino al singolo, minimo dettaglio.

Processo complesso e non sempre risolto, come ci insegna ancora Adolf Loos, raccontandoci la vicenda del facoltoso padrone di casa: “Capitò che un giorno egli festeggiasse il suo compleanno. La moglie e i figli gli avevano offerto ricchi regali. Erano cose che gli piacevano moltissimo e gli davano molta gioia. A un certo punto arrivò l’architetto per vedere se tutto era a posto (…). Ma l’architetto non si accorse della gioia del padrone di casa. Aveva scoperto tutt’altra cosa e impallidì. “Che razza di pantofole si è messo?” proruppe con angoscia. Il padrone di casa osservò le pantofole ricamate. Ma subito respirò con sollievo. Questa volta si sentiva del tutto innocente. Le pantofole erano state fatte secondo un progetto originale dell’architetto. Disse quindi con aria di superiorità: “Ma signor architetto! Se ne è già dimenticato? Queste scarpe le ha disegnate lei stesso!” “Certo”, tuonò l’architetto “ma per la camera da letto. Qui, con queste due macchie di colore, lei rompe tutta l’atmosfera. Non se ne rende conto?”

Il padrone di casa se ne rese subito conto. Si tolse in fretta le pantofole e fu indicibilmente felice che l’architetto non trovasse impossibili anche le sue calze.”

 

 

(*) Federica ROVELLO

Architetto e dottore di ricerca in “Architettura tecnica”. Negli anni ha collaborato, in qualità di consulente, con diversi enti pubblici ad iniziative finalizzate alla valorizzazione del patrimonio architettonico. Attualmente è impiegata come funzionario tecnico presso la Regione Friuli Venezia Giulia. Ha condotto ricerche e pubblicato diversi saggi e studi, nonché curato alcune mostre sull’architettura dell’Ottocento e Novecento in particolare della città di Trieste. I principali filoni di studio si incentrano sull’analisi di tecnologie costruttive e sistemi funzionali di edifici storici, al fine di elaborare idonee linee metodologiche di intervento per il loro recupero e sulla catalogazione di beni architettonici e urbanistici ai fini della loro conoscenza e salvaguardia.