Relatori conviviali

Sappiamo tutti che stiamo operando in un contesto macroeconomico molto particolare, caratterizzato dalla crisi di alcuni paesi emergenti e da difficoltà nell’area  Dollaro. In questo contesto anche lo scenario dell’area UE sta vivendo un periodo di forti tensioni, caratterizzato da diversi fatti: l’allargamento dell’Unione a diversi paesi dell’Europa orientale, con le conseguenti crisi di assestamento;  la presenza della BCE nello scenario del mercato finanziario, che pur non avendo un ruolo formalmente conferito di sorveglianza sui singoli apparati nazionali, egualmente si arroga questo compito nei fatti; le difficoltà economiche di diversi paesi membri, condizionati dalle richieste di contenimento del deficit dell’U.E..

Anche la situazione italiana non è meno complessa: crisi economica e politica, preoccupazione generalizzata e incertezza, un sistema “bloccato” in assenza di chiarezza.

In un contesto economico così preoccupante ciò che manca è un cardine che in passato aveva rivestito un ruolo importante: le banche. Le banche sono in difficoltà nel fare il conto economico, nell’acquisire e mantenere la clientela e, in generale, nell’assicurare il proprio ruolo nel sistema creditizio. Ma chiediamoci il perché di queste difficoltà. Fino a una ventina di anni fa il conto economico della banca era determinato solo dall’attività caratteristica. Ora siamo passati ad un mondo generato da commissioni.  Le banche stanno operando un aumento indiscriminato delle condizioni (spese e tassi), usano la leva del ricatto sulle concessioni di prestiti e mutui, vendono prodotti “no core”, hanno poca capacità di relazione sul territorio di competenza, le analisi che precedono le decisioni per la concessione del credito sono svolte in modalità “automatica” con assegnazioni di rating “pilotati” dalla banca (più restrittivi) indipendentemente dalle indicazioni di Basilea. A ciò si aggiunge la crescita di credito “anomalo” a causa della grave crisi economica e la collocazione di prodotti con alto valore aggiunto, intesi però nel senso che sono remunerativi per la banca, non certamente per il cliente.

Da tutto ciò è derivata insicurezza, mancanza di trasparenza, calo di fiducia e contenzioso, basti pensare alle vicende dell’anatocismo, che le banche preferiscono risolvere in via transattiva senza neppure aspettare l’iter giudiziale.

 Il cliente si domanda ora come operare la scelta giusta,  ricercando sicurezza, solidità e qualità del servizio. Perché fino a non molto tempo fa gli istituti bancari erano sostanzialmente tutti uguali, mentre oggi le banche si differenziano quanto a solidità patrimoniale, risultati economici, esposizione creditizia e modello di business. Su queste ampie  tematiche, ben conosciute dall’UE e dalla BCE, si inseriscono i veri temi di criticità: protezione dei consumatori; mercato degli strumenti finanziari; servizi di pagamento; contrasto al riciclaggio; vigilanza su soggetti non bancari; finanziamenti illeciti. Ma su tutte le tematiche oggetto di criticità ne emerge in particolare una: la gestione dei crediti/patrimoni. Se la prima è difficile, la seconda appare attualmente priva di soddisfazioni e per ragioni ben evidenti.  In relazione alla  gestione dei patrimoni, la banca ha perso le competenze del proprio personale. Il sistema bancario non ha assicurato il ricambio del proprio personale determinando un buco generazionale di vent’anni. Sotto il primo fronte, poi, il sistema bancario è  “inquinato” dai prodotti tossici e deve, per così dire,  vuotare i portafogli di  proprietà costruendo nuovi portafogli per i clienti. Sul piccolo risparmiatore ciò ha effetti devastanti.  Per farvi solo un esempio più vicino a casa nostra, vi sono banche che devono accantonare cifre importanti  per ripianare investimenti sbagliati nel passato.

In questa situazione la rotta viene tracciata dalla BCE. Si tratta di una rotta da seguire non per scelta ma per imposizione. Le banche italiane dovranno subire e superare uno stress test. La BCE chiede 8,5 miliardi per la vigilanza UE, l’introduzione di innovazione tecnologica e la regolamentazione dei corporate bond e del credito a medio e lungo termine. Soprattutto in quest’ultimo settore sono richieste condizioni stabili, trasparenza, maggiore assistenza e soprattutto un buon rapporto tra qualità e prezzo.

Basilea 1, 2 e 3 contengono indicazioni importanti per eliminare le incongruenze nell’analisi dei bilanci delle banche attraverso una nuova analisi dei rischi, della qualità dell’attivo, dei crediti dubbi e dei derivati, titoli illiquidi che le banche tengono fuori bilancio.  

I derivati di per sé sono  uno strumento di finanziamento neutro. Per fare un esempio, l’impresa di trasporti che consuma 100.000 litri di gasolio/mese si fa coprire questo fabbisogno con i derivati. Tuttavia i derivati, che classicamente possono essere considerati un sano strumento di copertura per la clientela che li acquista, hanno però combinato veri e propri disastri. Sono attualmente titoli illiquidi che, siccome non trovano un mercato, vengono spesso infilati nelle gestioni patrimoniali  e ormai costituiscono il 23% dell’asset complessivo delle banche. Siccome questi derivati vengono gestiti  dalle banche fuori bilancio, l’UE ora ci chiede di reinserirli nel bilancio.

I derivati non costituiscono l’unico esempio di titoli tossici. Voglio citare anche i CDO (Collateralized Debt Obbligations). Sono anche detti “titoli salsiccia”. Non sono neppure pubblicizzati, sono costruiti artificialmente e “impacchettati” in prodotti più vendibili. Dentro i CDO ci può essere di tutto, anche i mutui che le banche spesso cartolarizzano. Un’operazione di cartolarizzazione di un mutuo di per sé può essere anche sana. La banca la può fare perché ha bisogno di liquidi, ma è più facile che cartolarizzi i crediti perché i creditori non sono solvibili. Attualmente le grandi banche stanno ricostituendo i CDO e sono tornate a cartolarizzare i crediti. Inoltre mediamente il sistema bancario utilizza la leva del finanziamento con un rapporto 1/50 rispetto all’entità del patrimonio, il che significa che ha un patrimonio di molto inferiore rispetto all’esposizione finanziaria.  Pensate che attualmente il mercato finanziario mondiale ammonta a  740 miliardi di Dollari, mentre il PIL mondiale  ammonta a 500 miliardi di Dollari.

In questo contesto che cosa si dovrebbe fare? La risposta è teoricamente molto semplice: anzitutto ridurre i rischi. Non sembra fuori luogo ricordare che la banca deve agire con la prudenza e la diligenza del buona padre di famiglia, come un qualunque altro obbligato. Poi  trattenere i crediti e non cederli, perché le cartolarizzazzioni incrementano i titoli tossici,  e ricuperare la fiducia dei clienti e la reputazione.

Solo un ritorno ad una sana e prudente gestione può far ricuperare al cliente la fiducia nelle banche e arginare il proliferare di fenomeni anomali. Per esempio nel mercato europeo sta prendendo piede il baratto, che è preoccupante perché,  non essendo ne’ controllato, ne’ remunerativo,  non si presta ad una gestione professionale. Nell’area Dollaro,  inoltre, stanno prendendo piede  una sorta di finanziarie private che hanno guadagni esagerati e non sono assoggettate ad alcuna forma di controllo (Shadow Banking).

In conclusione, con amarezza devo riconoscere che il sistema bancario tradizionale è finito perché l’abbiamo fatto finire noi. C’è nel settore una scarsa propensione etica e non c’è riscontro in merito a ciò che va soprattutto a vantaggio dell’utente. Finché verrà utilizzata a sproposito la leva del grande guadagno dei manager non sarà possibile fare grandi cose. Vi sono manager delle banche che hanno guadagnato nella loro vita cifre enormi. Se guardiamo agli stipendi dei grandi manager delle banche vedremo che il compenso fisso è una minima parte del compenso complessivo che è costituito da premi di risultato e questo ingenera una corsa al guadagno, ad ogni costo e con ogni mezzo, che è sotto gli occhi di tutti.

(a cura di Paola Pavesi)