Martedì, 05 Dicembre 2017
Relatori conviviali

Con la consueta bonomia ed entusiasmo che lo anima, Lorenzo ci racconta  come è divenuto Presidente del Conservatorio pur non essendo un musicista. La sua notevole esperienza giuridica è stata la molla che lo ha catapultato ad occuparsi di questo splendido Istituto triestino che con la riforma dei conservatori, da poco varata, rischiava di farlo addirittura sparire.  Però – aggiunge - nelle pieghe del decreto si poteva e si doveva salvaguardare un Istituto attivo da più di 100 anni che attualmente coinvolge 750 allievi, 100 docenti, produce un bilancio di 1.900.000 euro di fatturato, ed è uno dei 12 Istituti musicali italiani riconosciuti. Questo è lo sforzo che sto facendo: salvare dalla chiusura questa splendida realtà.

Durante tutto l'Ottocento le scuole di musica a Trieste furono numerose e fiorenti: scuole di strumento, licei ed istituti musicali erano ambiti, non solo fra i ceti più abbienti. Per le fasce più povere funzionavano egregiamente i ricreatori, i collegi, le scuole di banda, i centri di assistenza.

Nei primi anni del XX secolo Trieste poteva vantare ben due istituti d'istruzione musicale di alto livello: il Liceo Musicale "Giuseppe Tartini", che iniziò la sua attività nell'ottobre 1903, e l'Istituto Musicale triestino, più tardi denominato "Conservatorio Giuseppe Verdi". Nel luglio 1932 i due istituti vennero unificati e confluirono nell'Ateneo musicale triestino, in seguito intitolato "Liceo musicale triestino" (1943).

La "statalizzazione" del Conservatorio, tanto auspicata, fu decretata da una legge del 1958 con effetto retroattivo al 1953.

Oggi non esiste una legge sul reclutamento dei docenti ma si applicano le norme emanate per le scuole ordinarie. Lo sforzo che si sta facendo è quello di avvicinare l’Istituto al mondo universitario e alle sue regole. Vogliamo diventare una struttura di eccellenza, sana dal punto di vista finanziario. La Legge Martina (Ministro dell’ Economia e Finanza) prevede un accorpa-mento tra le 30 scuole presenti oggi sul territorio italiano. Trieste doveva essere accorpata a Udine e su questo abbiamo lavorato collaborando intensamente, pur  mantenendo però un’autonomia gestionale.

Però mi sono chiesto… come sopravvivere e svilupparsi? Trieste come sapete è al centro di una vasta area balcanico-centro europea che ci vede quale polo attrattivo per molti ragazzi provenienti appunto da quelle zone. Quindi ho pensato di spingere sulla nostra internazionalità. Dobbiamo tessere una tela forte, creare legami con altri paesi, con le buone pratiche dobbiamo esaltare la nostra grande professionalità e fare ricerca come lo fa da tempo Vienna, polo attrattivo per gli studenti di tutto il mondo, che dal 2016 ha dato vita ad una rete denominata “Iniziativa Centroeuropea” che ha riscosso molto successo. Svolge infatti un ruolo di grande attrazione per musicisti e studenti di tutto il mondo e conferisce titoli accademici molto appetibili e di grande prestigio e credibilità: rete che oggi si chiama CEMAN (Center Europa Music Accademy Network) e programma manifestazioni musicali in tutto il mondo.

Con queste premesse, il Conservatorio ho firmato recentemente un accordo con la Cina, paese emergente, con una popola-zione di 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, 1 milione di studenti e 100 mila insegnanti di musica. La Cina è depositaria di una tradizione musicale e culturale millenaria, precedente alla nostra, oggi potenza economica straordinaria. Ho pensato che allearci musicalmente con loro non fosse una mossa disprezzabile, per cui ho approfittato di un invito in Cina per cercare di conoscere le loro realtà e le loro intenzioni di sviluppo della cultura musicale. All’inizio ero scettico, non sapendo quale fosse lo scopo di questo strano incontro. Poi debbo dire che mi sono entusiasmato a sentire i loro propositi a lungo termine. Ho quindi sottoscritto un accordo di collabora-zione e cooperazione oltre che di scambio di musicisti e di maestri. I nostri andranno in Cina per degli stage e i cinesi avranno la possibilità di venire da noi a studiare e ad apprendere la nostra grande cultura musicale. Ciò ci consentirà ovviamente di avere a disposizione fonti finanziarie di cui oggi abbiamo estremo bisogno.

All’incontro con i cinesi, un simposio interna-zionale organizzato dal China Conservatory of Music, erano presenti le più grandi istituzioni musicali internazionali, quelle americane di Boston e New York, austriache, australiane, neozelandesi, finlandesi nonché, per l’Italia… con grande sorpresa… c’eravamo solo noi di Trieste!

Si è parlato ovviamente di maestri, orchestre, musica, scambio di docenti e allievi e vi assicuro di essere rimasto impressionato dal loro entusiasmo e dai 21 miliardi di dollari che sono pronti a mettere sul piatto per queste future attività. Attualmente hanno delle strutture ancora artigianali ma vogliono crescere molto rapidamente e far conoscere la loro millenaria cultura, ancora oggi poco nota.

Avevo conosciuto il loro Presidente a Vienna, tempo fa, e mi sono reso conto di quanto siamo arretrati su certe questioni legate allo sviluppo dell’arte musicale. Le nostre regole italiane sulla materia sono antiquate perché non esiste una cornice normativa per il sostenimento di spese. L’educazione musicale di base da noi non esiste, a scuola non è prevista. E poi siamo autoreferenziali, dobbiamo toglierci l’aria di sufficienza che alle volte dimostriamo nei confronti dei paesi in via di sviluppo. I professori americani e inglesi hanno una competenza e una bravura organizzativa maggiore alla nostra e pertanto bisogna rendersi conto che uno scambio reciproco di compositori e musicisti non può che far bene.

Ora penso di invitare musicisti cinesi a Trieste per farli conoscere al nostro pubblico, la loro venuta sarà un volano economico per Trieste e forse aiuterà la città ad assumere il ruolo di terminale della “via della seta” di cui tanto si parla in questi giorni. La loro musica oggi per noi è un po’ strana e forse indigesta, ma come in tutte le cose anche il suo ascolto ci può aiutare a capirli e raccogliere quello che di buono esprime.

Vi informo infine che in questi giorni sto attivandomi per reperire i fondi necessari a dare avvio a questo scambio culturale che spero abbia anche l’appoggio di tutte le realtà politiche che ci governano essendo noi gli unici referenti italiani.

 

A fine relazione intervengono Verzegnassi che lamenta una concomitanza di concerti nella giornata di mercoledì con il Tartini e la Società dei Concerti e una sempre minor qualità degli stessi nonché la concomitante fuga degli studenti all’estero.

Capaldo si impegna ad ovviare al problema della sovrapposizione di date. Per quanto riguarda la qualità dei concerti e dei concertisti, afferma che è il numero sempre più alto di giovani concertisti il problema. Una volta pochi avevano il tempo e i mezzi per dedicarsi alla musica ma non avendo altre distrazioni potevano approfondire i temi e lo studio. E quando si affermavano erano al top. Oggi molti giovani avendo poca forza interpretativa ma molta tecnica, non vengono assunti in Italia ch,e tra l’altro, dedica al settore poche risorse, ma si recano a lavorare all’estero e molti lì si affermano anche nell’insegnamento. Io sostengo comunque  – che chi va all’estero e viene a contatto con altre realtà – migliora le proprie conoscenze professionali e non solo quelle.

Barbiellini Amidei afferma che i cinesi negli ultimi tempi hanno fatto passi da gigante nella tecnologia ma si chiede se nella musica si sono evoluti o sono rimasti alle loro nenie tradizionali.

Capaldo riconosce che la musica sentita durante la sua visita in Cina non lo ha entusiasmato ma – afferma – forse con il tempo dopo aver studiato la nostra, anche la loro potrebbe pian piano evolversi in qualcosa di più moderno e piacevole da ascoltare. E forse anche noi riusciremo a comprendere la loro, è solo questione di tempo.

Giorgio Drabeni chiede se la musica moderna atonale, dodecafonica, così poco musicale e comprensibile possa essere un veicolo più adatto ai cinesi e alla loro tipologia musicale priva di ritmo. Non sarà forse questa la musica del futuro e più agevole ad una comprensione universale?

Capaldo afferma di non avere una risposta a questa domanda però il nostro pubblico ora rimane sconcertato quando sente questi tipo di musica. Forse ai cinesi piacerà di più, essendo comunque una musica melodica come quella cinese.

Ultima considerazione di Zorzut: certo che l’opera di Berg è di difficile comprensione anche per appassionati di musica!

S.F.