Martedì, 06 Novembre 2018
Relatori conviviali

Il dottor Masè ha parlato dell’inquadramento clinico, diagnostico e terapeutico delle demenze, mettendo in luce le difficoltà della diagnosi che molto spesso, in particolare per il Morbo di Alzheimer, viene fatta tardivamente anche con sei/dieci anni di ritardo rispetto all’esordio, in quanto le manifestazioni sintomatologiche vengono sottostimate non solo dai familiari, ma anche dai sanitari.

Tra le diverse forme di demenza degenerativa, il morbo di Alzheimer è attualmente la più diffusa nel mondo, causa di grande sofferenza umana, sia per chi è affetto da tale disturbo sia per chi si occupa della cura del malato, oltre che di costi altissimi per la società, colpisce circa il 5% delle persone ultrasessantacinquenni ed in Italia si stimano circa 500 mila ammalati.

I principali fattori di rischio di sviluppare la malattia sono stati riconosciuti essere molteplici: l’età avanzata, un pregresso ictus cerebrale, l’ipertensione arteriosa, alcune patologie cardiache (coronaropatia), il diabete, il fumo, le iperlipemie e l’iperomocisteinemia. Ancora una volta quindi è stata sottolineata l’importanza di condurre un corretto stile di vita, atto a prevenire tali patologie.

La malattia ha un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose per arrivare al punto in cui non riconoscono nemmeno i familiari ed hanno bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.

Alois Alzheimer (1864-1915) ha descritto per la prima volta nel 1906 a Tubinga, al Congresso della Società degli Psichiatri Tedeschi “Una caratteristica malattia della corteccia cerebrale”, descrivendo il caso di una donna di 51 anni con progressivo declino cognitivo e deliri che, all’esame autoptico, presentava segni di atrofia cerebrale, presenza di neurofibrille aggrovigliate e su tutta la corteccia cerebrale un gran numero di foci di deposito di una peculiare sostanza.

Tale sostanza negli anni 2000 è stata riconosciuta essere la beta-amiloide, causa della formazione delle placche infiammabili caratteristiche del disturbo e che danneggiano i neuroni cerebrali in maniera irreversibile. Recentemente un gruppo di ricercatori della Karolinska Institutet hanno pubblicato su “The Lancet Neurology” una casistica di pazienti trattati con un vaccino atto ad attivare una risposta immunitaria dell’organismo contro la beta-amiloide: il CAD 106.

I pazienti trattati hanno sviluppato anticorpi protettivi contro la beta-amiloide senza soffrire di effetti collaterali gravi, come era accaduto in passato con altre sperimentazioni. I risultati suggeriscono che saranno necessari sicuramente ulteriori trials più ampi ma che, per il momento, la ricerca sembra avviarsi verso la strada del successo.