Martedì, 14 Aprile 2015
Relatori conviviali

Parlerò di una rivoluzione epocale nel campo della sanità pubblica che mi vede protagonista e che la politica regionale attuale sta cercando di concretizzare nonostante le molte difficoltà. Abbiamo iniziato due anni fa: ci furono incontri con i medici e gli organi rappresentativi degli utenti ed in un primo tempo tutti erano concordi nell'affermare che la nostra sanità regionale era di ottimo livello e quindi non si capiva il perché si dovesse cambiare quello che dimostrava di funzionare. Ed era vero, soprattutto se consideriamo quello che era la sanità in altre Regioni non virtuose. Perché quindi cambiare quello che va bene? Ma, la politica ha il compito di guardare lontano, non fermarsi al presente e pensando al futuro e alle generazioni che verranno, adeguando le proprie idee al mondo in continuo cambiamento. Le scelte da compiere non sono quelle di piccolo cabotaggio che tendono a privilegiare il consenso elettorale. Così ho accettato volentieri questo incarico, da tecnico, per attuare questo cambiamento che considero importante, pur non essendo un medico ma avendo comunque avuto una lunga esperienza nel settore quale operatore ed ho vissuto i cambiamenti del passato. 

Un vero problema, che abbiamo anche oggi, è quello della asimmetria informativa che i professionisti ed i medici hanno del paziente riuscendo a costruire in lui percezioni contradditorie, se non addirittura errate. Insomma, non tutto quello che dicono i medici è oro colato. Quale è l'analisi che abbiamo fatto senza inventare niente? I medici, gli epidemiologi, i sistemi ospedalieri sanno bene quelli che sono gli attuali problemi. Oggi gli ospedali sono un concentrato di professionalità di ottimo livello, hanno macchinari molto evoluti, organizzazioni eccellenti, medicine sempre più sofisticate, ma non sembra colgano un altro problema. Il mondo sta cambiando soprattutto perché la vita si sta allungando, con tutti i problemi conseguenti. In FVG abbiamo una particolarità: siamo la Regione che è al secondo posto in Italia, dopo la Liguria, per numero di persone anziane. Ne conseguono malattie croniche con molte patologie e la risposta ospedaliera che può essere percepita come non più corretta. Se consideriamo le persone che sono ricoverate negli ospedali nella nostra regione la loro entità è pari ad un 2 per mille. E gli altri stanno tutti bene? No ma hanno altri problemi che gestiscono tranquillamente a casa. Accade così che, anche non avendo problematiche gravi, si rivolgano al pronto soccorso degli ospedali causando i problemi di affollamento con le lamentele continue per il disservizio che spesso finisce sui giornali. Quelle persone sono lì ma, in realtà dovrebbero stare altrove, in altre strutture come ad esempio presso le case di riposo che però sono a pagamento, mentre gli ospedali sono in prevalenza gratuiti. Insomma, molti di questi malati, il 70% almeno, sono persone anziane che stanno male all'ospedale, dovrebbero invece essere assistiti a casa propria o in casa di riposo perché non affetti da malattie ma, semplicemente bisognosi di cure specifiche legate all'anzianità e questo le rende ansiose del proprio stato. Una persona in ospedale si sente più sicura e quindi tende a farsi ricoverare, l'ospedale è il simbolo della cura. 

Negli ultimi vent’anni abbiamo messo in servizio 17 ospedali e ciò sembra, per la popolazione attuale (1milione e 2centomila), obiettivamente in eccesso. Quando si parla di riorganizzare e di trasformare, non di chiudere, in modo da poter dare quelle risposte adeguate alle esigenze di una popolazione più anziana, si scatena il finimondo perché si va a toccare quell'emotività e quella identità che l'ospedale, pur sempre, rappresenta. In questi due anni, ripercorrendo la nostra storia, ho constatato che, prima della ultima riforma del 1995, furono chiusi alcuni ospedali (Codroipo). Monitorando l'epidemiologia di quella zona, si constata che la popolazione sta meglio di prima, il distretto sanitario funziona molto bene, attua delle collaborazioni con altri ospedali di rete e le persone non sentono più la necessità di avere un ospedale “loro”. Con la riforma del mio predecessore (Fasola, vent’anni fa), si prevedeva di chiudere 4 ospedali: Maniago, Spilimbergo, Sacile e Cividale; ora sono ancora aperti: un esempio, il pronto soccorso di Maniago che doveva essere chiuso di notte 20 anni fa l'abbiamo chiuso noi l'anno scorso con la popolazione quasi insorta contro di noi. Incredibile a dirsi ma non sappiamo dove siano finite quelle persone che prima lo utilizzavano, infatti non abbiamo riscontrato aumenti di accessi nelle altre strutture vicine: si è cercato, con calma, di spiegare che se il mondo cambia, non si può andare nella direzione opposta, altrimenti si mette a rischio il servizio sanitario pubblico, fiore all'occhiello del nostro Paese (sanità di buona qualità il cui costo rimane nella media dei paesi OCSE). Però oggi è a rischio per un problema di risorse sempre più scarse e di costi sempre più alti. Utilizzando i soldi dello Stato non facciamo altro che mettere le mani nelle tasche della gente e quindi si deve stare molto accorti in quello che viene fatto: se abbiamo un ospedale che non viene usato, buttiamo via i soldi della gente. Con un problema veramente serio, normalmente che cosa si fa? Ci si informa su quale ospedale sia più sicuro per la soluzione della nostra malattia, dove ci siano gli specialisti più validi e adeguati al nostro caso. Non si va nell'ospedale più vicino solo perché è più vicino ma ci si sposta senza problemi, si privilegia la qualità. Quanta gente è andata ad operarsi in cliniche private o in ospedali specializzati a Milano o Roma o ad Aviano per i tumori? Le garanzie di qualità e sicurezza le dà l'ospedale più frequentato, non quello vicino casa. La competenza e la casistica sono quelle che danno più sicurezza e tranquillità e sono queste le tre norme che verranno prese in considerazione per la valutazione dei migliori ospedali. Con un principio di infarto si desidera che l'ambulanza arrivi al più presto possibile e poi si desidera essere ricevuti nell'ospedale più attrezzato allo scopo. Oggi, in un ospedale qualificato, quando qualcuno presenta un problema acuto, sta anche poco tempo, il meno possibile, ma quando esce, il più delle volte si ha bisogno di una riabilitazione e di un assistenza particolare. Il medico di famiglia deve ridiventare il medico di riferimento. Sono loro infatti che debbono riappropriarsi del ruolo e tornare a fare il medico come accadeva nel passato; per questo la riforma li coinvolgerà in modo importante. Soprattutto nei giovani dottori si trova molto entusiasmo per questo ritorno alle “origini”. Quindi la riforma prevede la riorganizzazione degli ospedali, alcuni anche con un ruolo diverso da adesso. Non tutti faranno tutto, dovranno specializzarsi e collaborare tra di loro: oggi queste collaborazioni sono solo lasciate ai buoni rapporti tra i professionisti e non sono ancora una regola; si dovranno imporre delle regole per il miglioramento della collaborazione tra enti e professionisti. Più che discutere su quanti ospedali siano necessari in Regione (3 o 4) e quante aziende sanitarie, dovremmo scrivere i contenuti, le regole per queste entità, il rapporto di continuità tra ospedale e territorio. 

La riforma è coraggiosa e in 52 articoli cerca di definire la programmazione socio sanitario della Regione per i prossimi 10-15 anni; qualcuno l'ha definita in Consiglio regionale un libro dei sogni e i sogni solitamente non s'avverano ma, si crede che questa riforma ambiziosa abbia fissato un obiettivo concreto che cercheremo di raggiungere a tutti i costi. Dal gennaio di quest'anno sono state chiuse Aziende ospedaliere che si sono messe assieme fondendosi; quindi il numero delle Aziende si è ridotto ora sono 5, di cui le 2 di Udine e Trieste sono ancora in fase di costruzione essendo costituite dall'Azienda ospedaliera universitaria e dall'Azienda sanitaria entrambe rette da un unico commissario ma, l’intenzione è di fonderle in un’unica Azienda integrata (unico esempio in Italia di integrazione). Trieste, Udine e Pordenone avranno gli ospedali veri mentre quelli piccoli di rete e i presidi ospedalieri dovranno trasformarsi in qualcosa di diverso. Resta il fatto che andando a parlare con i professionisti e gli ospedalieri si sente una grande preoccupazione per il trasferimento dei pazienti dalle attuali sedi verso gli “HUB”. È pericoloso trasmettere al paziente l'ansia per un futuro non sufficientemente chiaro. 

La missione, non facile, è di far accettare un cambiamento culturale dovuto al fatto che le leggi cambiano le regole e perciò si dovrà modificare il loro stile di vita: parafrasando, si può dire che cambiare l'auto è facile, la moglie un po' più difficile ma il proprio modo di essere quasi impossibile; concretamente meno posti letto dato che ci sono ospedali che occupano i loro posti letto al 50%, ci sono reparti il venerdì pomeriggio completamente vuoti o reparti di pediatria con un solo bambino ricoverato. La comunità può risparmiare denaro e tanti sprechi vengono eliminati chiudendo strutture che sono dei doppioni sul territorio aperti a suo tempo solo per compiacere la politica locale. I problemi derivanti dall'invecchiamento della popolazione rendono necessarie strutture di riabilitazione e quindi di hospis, l'esigenza di avere strutture per la fase terminale della vita che oggi gravano completamente sulle famiglie e solo chi ha avuto persone invalide fino a ieri ricoverate impropriamente in un ospedale o in casa senza una adeguata preparazione può capirlo. Poi è necessario migliorare il sistema delle emergenze, delle ambulanze, dei trasporti. Le esigenze dal vicino futuro sono ad esaminare più case di riposo intervenendo sul loro controllo. Saranno classificate imponendo uno standard di qualità adeguato garantendo che il livello di assistenza non possa essere inferiore ad un certa quantità e che garantiscano un'assistenza qualificata per tipologia di malattie. Poi prevedere che ci sia anche una sistemazione domiciliare con visite di personale qualificato ed altre strutture fornite di tutta la domotica, dove curare gli anziani durante il giorno ma che consentano di tornare a casa per la notte riducendo così il distacco traumatico dagli affetti e dalle abitudini.